Mastoplastica Additiva - Mastoplastica Additiva Roma Dr.Magliocca

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Interventi


Mastoplastica Additiva


 

Considerazioni generali
Le tormentate vicissitudini legislative cui sono andati incontro gli impianti mammari nell'ultimo decennio soprattutto negli Stati Uniti sono state provocate dalla precoce introduzione sul mercato delle protesi mammarie prima ancora che fossero disponibili studi scientifici validi che ne dimostrassero la loro reale efficacia e sicurezza. Tali studi sono iniziati solo dopo che le complicanze e gli effetti indesiderati si rendessero evidenti.
Una delle difficoltà incontrata cercando di mettere in relazione le protesi mammarie con i rischi ad esse associati è l'elevata eterogeneità degli impianti e quindi delle popolazioni studiate. Eterogeneità è un fattore legato sia alla diversa costituzione degli impianti nel tempo (con le diverse generazioni che si sono succedute), sia alle differenze proprie di ogni produttore.
Gli Stati Uniti sono stati senz'altro i primi a muoversi e a riconoscere la necessità di ottenere informazioni valide dal punto di vista scientifico prima di prendere una qualsiasi decisione.
Diversi studi sono stati effettuati anche in Europa, dal 2000 al 2006, in particolare in Danimarca, Svezia, Filanda, Gran Bretagna e Francia e le informazioni oggi disponibili sui rischi legati alle protesi mammarie provengono da questi studi.
Oltre al problema dell'eterogeneità delle protesi presenti nella popolazione, un’altra problematica incontrata nel disegno di questi studi riguarda la dimensione dei campioni. I campioni utilizzati non sono abbastanza grandi per determinare l'eventuale incremento di incidenza di patologie molto rare .
Pur con queste limitazioni i dati accumulati fino ad oggi escludono per lo più gravi effetti sulla salute degli impianti mammari al silicone e qualora questi effetti siano stati dimostrati la percentuale di rilievo non è mai stata percentualmente significativa. Gli studi riconoscono che il principale problema legato all'utilizzo delle protesi è rappresentato dalle complicanze locali e dagli esiti che comportano, in particolare la contrattura capsulare, la rottura degli impianti e la frequenza di reintervento. La maggior parte degli studi ha coinvolto pazienti nelle quali erano state impiantate protesi a superficie liscia o testurizzata ma in gel di silicone non coesivo. Henriksen, nel 2005, ha pubblicato un’analisi eseguita su un campione di 2227 pazienti che erano state sottoposte a mastoplastica additiva in un arco temporale compreso tra il 1999 ed il 2003; in questo studio il 4,3% delle pazienti ( 3% degli impianti) avevano subito un intervento secondario, entro i primi diciotto mesi, per l’insorgenza di complicanze a breve termine; nel 38% dei casi sottoposti a revisione chirurgica si era verificato un depiazzamento dell’impianto, nel 16% dei casi era sopravvenuta una contrattura capsulare severa , nel 13% dei casi una ptosi secondaria e nell’ 11% un ematoma; la conclusione alla quale giunge Henriksen è che l’incidenza di complicanze a breve termine è piuttosto alta e che questa è direttamente correlata alla tecnica chirurgica piuttosto che ad un errata scelta dell’impianto; più in generale il rischio di contrarre una complicanza a breve termine aumenta per gli impianti di volume superiore ad i 350 cc.; la via d’accesso al solco sottomammario ed il confezionamento di una tasca retroghiandolare riduce l’incidenza di complicanze a breve termine ma il posizionamento della protesi in una loggia retromuscolare garantisce un minor rischio di sviluppare una contrattura capsulare a medio termine. Kulmala, nel 2005, ha riportato un’indagine eseguita su 25 pazienti (50 impianti) sottoposte ad intervento chirurgico in un periodo di tempo compreso tra 4 e 20 anni; in questo studio 6 pazienti (poco meno del 25%) presentavano una rottura protesica alla RMN.    I recenti studi (Heden 2004-2006, Jernbeck e Hober 2001, Brown 2004-2005,Tebbetts 2004-2006,Fruhstorfer e Malata 2004) che hanno coinvolto esclusivamente le pazienti nelle quali erano state impiantate protesi in silicone coesivo (IV°e V° generazione) hanno dimostrato una sensibile riduzione dei rischi e delle complicanze locali, sia a breve che a lungo termine. Tebbetts (2004) in una revisione di 1662 casi personali, seguiti clinicamente per 7 anni, ha riferito una percentuale di reinterventi, per complicanze, del solo 3% comparato con i dati dell’ FDA che riportano una incidenza del 20%; riferisce che tale bassa incidenza di reinterventi è correlata ad una standardizzazione delle procedure chirurgiche e della scelta degli impianti. Nel 2006, in uno studio clinico eseguito sotto il controllo della FDA, Tebbets ha  riportato i dati relativi relativi a 50 pazienti consecutive, sottoposte a mastoplastica additiva primaria, nelle quali erano state impiantate protesi in silicone coesivo; il follow up era stato del 100% ad un anno, del 98% a due anni e del 94% a tre anni (47 su 50 pazienti); durante il periodo di osservazione Tebbetts non riporta nessun reintervento nè complicanza. Fruhstofer (2004) ha riportato uno studio clinico eseguito su 35 pazienti nelle quali erano state impiantate protesi in silicone soft-coesivo ( V° generazione), dopo un anno non viene riportato nessun reintervento né complicanza. Heden (2006) ha pubblicato due studi, il primo effettuato su un campione di pazienti nelle quali erano state impiantate protesi in silicone non coesivo (III° generazione), il secondo su pazienti portatrici di protesi in silicone coesivo (IV° e V° generazione). Nel primo studio erano state esaminate 106 pazienti, 77 sottoposte a mastoplastica additiva primaria, 11 sottoposte a ricostruzione mammaria post-mastectomia e 18 casi nei quali era stata effettuata una mastoplastica additiva secondaria di revisione, per un totale di 199 impianti studiati clinicamente e con RMN. Il tempo medio di impianto era compreso tra i 9,5 ed i 13,2 anni; nel 92% dei casi (83 impianti) non sono stati dimostrati segni di rottura protesica, nel 6% (12 impianti) è stata dimostrata una rottura protesica, mentre nel 2% (4 impianti) non erano determinabili con certezza i segni di rottura; il risultato di questo primo studio fa stabilire una percentuale di rottura protesica dell’8% in un periodo medio di 11 anni. Nel secondo studio sono state sottoposte a screenig con RMN 144 pazienti sottoposte a mastoplastica additiva primaria (86%) e di revisione (14%); il tempo medio di impianto era compreso tra i 5 ed i 9 anni, con una media di 6 anni; il 99% delle protesi non mostrava segni di rottura protesica alla RMN, solo lo 0,3% delle protesi avevano segni certi di rottura mentre la rottura non era determinabile con certezza nello 0,7% degli impianti; la percentuale di contrattura capsulare era compresa nel 5,6% dei casi. Brown (2005) riferisce circa uno studio effettuato su 150 pazienti consecutive sottoposte a mastoplastica additiva con impianti anatomici in silicone coesivo (118 pazienti) ed a ricostruzione mammaria post-mastectomia (32 pazienti); nelle pazienti sottoposte a mastoplastica additiva riporta solo 4 complicanze (3,4%), due contratture capsulari, un ematoma,un asimmetria mammaria post operatoria, nessun caso di rottura protesica,né di rotazione degli impianti, né di malposizione; nelle 32 ricostruzioni mammarie riporta il 18,8% di complicanze, tre casi di contrattura capsulare,due sieromi, un caso di esposizione dell’impianto sottoposto a revisione chirurgica.

I Rischi e le possibili complicanze
 Effetti verticali: madre-figlio
• Rischi per il bambino
Gli studi principali tra cui quelli effettuati dallo IOM e dal IRG hanno escluso la possibilità di rischi legati all'allattamento al seno materno. Al momento attuale non sappiamo se piccole quantità di silicone possano attraversare la capsula fibrosa peri protesica ed arrivare sino al latte materno durante l’allattamento. Lugowski, nel 2000, ha pubblicato uno studio dosando particelle siliconiche nel latte materno di un gruppo di donne portatrici di protesi mammarie e di un gruppo di donne senza impianto protesico non rilevando differenze significative. Altri due studi che hanno riguardato i potenziali effetti dannosi del silicone in un gruppo di bambini nati da madri portatrici di protesi mammarie (kjoller 2002, Signorello 2001) non riportano dati significativi. Un terzo studio (Hemminki 2004) riporta come unico dato un basso peso medio dei neonati nati da madri con protesi mammarie ma questo dato può essere correlato al basso peso corporeo delle madri, in pre-gravidanza. L'FDA riporta uno studio in cui su 42 donne con impianti mammari il 64% è stato incapace di allattare rispetto al 7% di un gruppo di controllo. Nella sua nota informativa per le donne che desiderano operarsi al seno l'FDA, precauzionalmente, riporta che l'intervento di mastoplastica additiva può significativamente alterare la capacità di allattamento.
Effetti locali a lungo termine: complicanze tardive

Tutti gli studi indipendenti e finanziati dai governi hanno riconosciuto le complicanze locali come il principale rischio per la salute attribuibile all'utilizzo di protesi mammarie.
Tra questi segnaliamo in particolare la contrattura capsulare, la rottura dell'impianto, la diffusione del silicone con i problemi infiammatori locali che comporta e gli eventuali interventi supplementari che si rendono necessari.
La frequenza di queste complicanze, con le protesi di vecchia generazione, è molto elevata e giustifica questa posizione ma la commercializzazione degli impianti di ultima generazione, a superficie testurizzata ed in silicone coesivo, ha fatto ridurre a percentuali pressocchè in significative la frequenza di dette complicanze rendendo più “sicuro” l’impianto di una protesi mammaria.

• Contrattura capsulare
La contrattura capsulare è il risultato di una reazione da corpo estraneo. Quando è grave può provocare un indurimento delle mammelle,  dolore, mal posizione e distorsione dell'impianto e dei tessuti di rivestimento. E’ il maggior fattore di rischio per la rottura della protesi (Bondurant 2000) ed è il motivo più frequente di reintervento. Una contrattura capsulare può essere la conseguenza di un infezione locale, di un ematoma, di un sieroma. Il rischio che essa si presenti è più alto negli interventi secondari e di revisione che nelle mastoplastiche additive primitive (Allergan Core study, 2006, indicano una frequenza di contrattura capsulare, a 4 anni, del 13% nelle mastoplastiche primitive e del 17% in quelle secondarie).  

La gravità viene definita dalla scala soggettiva di Baker:
I. Il seno aumentato è morbido come un seno senza impianto
II. Impianto palpabile ma non visibile
III. Impianto palpabile e visibile. Seno poco mobile
IV. Seno di consistenza dura, dolente e dolorabile, freddo. Distorsione marcata
La insorgenza della contrattura capsulare è un dato certo. Ciononostante molte donne tollerano bene anche gradi elevati di contrattura.  Uno studio relativo ad impianti in silicone non coesivo ha descritto un'incidenza di contrattura capsulare grave a 25 anni del 100% (Strom, 1997).
Secondo l'ANDEM, il gruppo indipendente francese, la frequenza di contrattura capsulare è del 41-56% per gli impianti a superficie liscia e di circa il 10% per quelli a superficie testurizzata.  La contrattura capsulare è inoltre maggiore quando l'impianto è in posizione retroghiandolare, in caso di ricostruzione mammaria e quando si tratta di protesi al silicone. Kjoller nel 2001 ha pubblicato un’indagine eseguita su un campione di 754 pazienti (1572 impianti) sottoposte ad intervento chirurgico in un arco temporale compreso tra il 1977 ed il 1997; in tutte le pazienti erano state impiantate protesi di 2° e 3° generazione,in silicone non coesivo, e gli impianti erano stati posizionati in una tasca retromuscolare nel 90% dei casi; l’incidenza della contrattura capsulare è stata del 7,9% entro i primi due anni e nel 51,6% delle pazienti era bilaterale;  già il 66,1% della contrattura capsulare era presente ad un anno dall’intervento, il 79% entro i primi due anni. Nello studio pubblicato nel 2005 da Henriksen su un campione di 2227 pazienti sottoposte ad intervento chirurgico tra il 1999 ed il 2003, nel 4,3% delle pazienti si è reso necessario un intervento di revisione entro i primi 18 mesi ed il motivo del reintervento era correlato ad una contrattura capsulare nel 16% dei casi; su 39 casi di contrattura capsulare registrati entro i primi 18 mesi dall’intervento solamente 22 pazienti hanno necessitato di una revisione chirurgica. Barnsley ha pubblicato nel 2006 una meta analisi comprendente sette gruppi di studio nella quale è stata studiata l’incidenza della contrattura capsulare negli impianti a superficie liscia rispetto agli impianti a superficie testurizzata e l’incidenza della contrattura secondo la sede di impianto, retroghiandolare rispetto alla retromuscolare. La meta analisi ha stabilito una incidenza di contrattura capsulare notevolmente più alta per le protesi a superficie liscia e per le protesi posizionate in una tasca retroghiandolare. Ad analoga conclusione è arrivato uno studio clinico e strumentale effettuato da Wong (2006) che dimostra inequivocabilmente la maggior affidabilità nella prevenzione della contrattura capsulare degli impianti a superficie testurizzata rispetto alle protesi liscie e del confezionamento di una tasca retromuscolare anziché retroghiandolare.   La frequenza della contrattura capsulare è scesa a valori compresi tra 1,5% e 3,5% con l’utilizzo delle protesi in silicone coesivo (Heden,2006-Brown,2004- Tebbetts, 2006). Accanto ad i moltissimi studi  pubblicati sul trattamento chirurgico della contrattura capsulare che prevedono capsulectomie totali o capsulotomie selettive eventualmente associate alla conversione della loggia d’impianto da retroghiandolare a retro muscolare sono oggi a disposizione nuovo trials di trattamento non chirurgico della contrattura capsulare con ultrasuoni esterni o che utilizzano le onde elettromagnetiche pulsate (Pulsed electromagnetic field therapy) o farmaci del tipo Leukotriene pathway inhibitors (Accolate, Singulair). E’ assolutamente controindicato trattare la contrattura capsulare con massaggi o manipolazioni esterne (squeezeng) che esercitano una forte pressione sul torace, per gli alti rischi di danneggiamento e rottura degli impianti.
•  Rottura/Perdite
Innanzi tutto occorre precisare che le protesi mammarie sono dispositivi medici “a tempo” e che pertanto non possono durare tutta la vita. La rottura di una protesi può avvenire in qualsiasi momento dopo il suo impianto ma più facilmente essa accade nelle protesi impiantate da più anni. Le ragioni di una rottura protesica possono essere il suo danneggiamento con lo strumentario chirurgico in corso d’intervento, l’eccessivo stress della protesi durante le manovre di inserimento, una eccessiva forza esercitata sul torace per esempio quando si esegue una capsulotomia a cielo chiuso, un trauma toracico, la compressione della protesi durante l’esecuzione di una mammografia, una contrattura capsulare severa. La rottura di una protesi mammaria è spesso silente e deve essere sospettata ogni qual volta compaiono dolore, gonfiore, prurito,  nodularità od arrossamenti intorno alla protesi, od una variazione di forma o di volume delle mammelle, od una contrattura capsulare. Nel 2005 Katzin ha pubblicato uno studio dove si dimostrava la migrazione del gel di silicone nei linfonodi ascellari in pazienti senza evidenti segni di rottura protesica. Altri trials clinici ed epidemiologici (Wolfe 1999,Brown 2001,Berner 2002,Holmich 2003) hanno cercato di correlare la rottura protesica con la sindrome connettivale , con la malattia reumatica,con i disordini autoimmunitari , con la fibromioalgia e con la sindrome di affaticamento non riportando un associazione significativa tra queste patologie e le protesi in silicone. Comunque, qualora non intervengano questi sintomi, è statisticamente difficile che una rottura protesica possa essere evidenziata dal solo esame clinico. Secondo uno studio di Holmich, pubblicato nel 2005, l’attendibilità dell’esame clinico è del 30% rispetto all’ 89% della Risonanza Magnetica. E’ pertanto consigliato far eseguire alle pazienti una RMN dopo tre anni dal primo intervento di mastoplastica additiva e successivamente ogni due anni, sia per studiare lo stato delle protesi mammarie che per valutare le eventuali modifiche ghiandolari (assottigliamento del parenchima mammario, patologia ghiandolare). Qualora la RMN restituisca un risultato di sospetta rottura protesica la protesi mammaria deve necessariamente essere rimossa.
Quando si sia verificata una rottura protesica il gel di silicone può rimanere contenuto all’interno della capsula fibrosa periprotesica (rottura intracapsulare) , fuoriuscire dalla capsula fibrosa (rottura extracapsulare) o migrare nella ghiandola mammaria ( migrated gel).

La quantificazione della frequenza di rottura degli impianti protesici a lungo termine è attualmente imperfetta ed approssimativa a causa delle difficoltà epidemiologiche che si incontrano nello studio di questa particolare popolazione di pazienti. Gli studi attualmente disponibili sono studi retrospettivi effettuati su pazienti sottoposte a intervento chirurgico di espianto delle protesi mammarie perché sintomatiche e quindi su una popolazione non sufficientemente eterogenea. Il termine corretto per la valutazione della reale frequenza di rottura degli impianti dovrebbe comprendere le pazienti con rottura asintomatiche, le pazienti con rottura sintomatiche e le pazienti in cui l'impianto sia ancora sano. I numeri relativi dei due dati mancanti comportano un rischio di sopra o sottovalutazione del reale fenomeno. Gli studi effettuati sugli impianti espiantati inoltre sono in grado di stabilire la rottura dell'impianto ma non l'epoca in cui la rottura si è verificata. La correlazione con l'epoca di rottura e quindi con la durata reale dell'impianto è solo indiretta essendo calcolata in base al momento in cui avviene l'espianto. Infine questi stessi studi prendono in considerazione pazienti sottoposte ad intervento in epoche diverse e con impianti troppo eterogenei tra di loro. Gli unici sottogruppi considerati, riguardano gli impianti riempiti con gel di silicone o con soluzione fisiologica, non fanno distinzioni tra i vari tipi di involucro, notevolmente migliorati negli anni e quindi non sono rappresentativi di valori reali. Per questi motivi non è possibile conoscere precisamente l'incidenza e la prevalenza della rottura degli impianti, non è cioè possibile conoscere precisamente la storia naturale di un impianto protesico. I dati disponibili, che riguardano prevalentemente gli impianti di vecchia generazione a superficie liscia o testurizzata e riempiti con gel di silicone non coesivo, sono comunque numerosi e permettono qualche ipotesi circa la durata degli impianti in silicone riempiti con gel di silicone non coesivo o con soluzione fisiologica. I primi studi su protesi espiantate hanno segnalato frequenze di rottura del 62.5% a 10 anni (Malata, 2000). Uno studio ha cercato di correlare la generazione degli impianti alla frequenza di rottura riportando pochi casi per la prima generazione (1963-1972), il 95% per quelli di seconda (1972-metà anni '80) e del 3.2% per gli impianti a partire dal 1993 (Heden,Tebbetts,Brown 2006).

I dati degli espianti riguardanti le protesi di vecchia generazione in silicone non coesivo dimostrano una frequenza di rottura del 6% annuo per i primi cinque anni dalla data dell'impianto seguita da un graduale declino negli anni successivi. Secondo lo stesso studio il 30% delle donne trattate con impianti al silicone necessiterà di almeno un secondo intervento nei primi cinque anni dall'impianto delle protesi per complicazioni legate all'intervento.
La FDA ha sponsorizzato una ricerca molto importante per cercare di superare i bias insiti in ogni tipo di studio effettuato su pazienti espiantate per diagnosticare una eventuale rottura delle protesi mammarie sottoponendo un’ampia popolazione di pazienti alle quali era stata impiantata una protesi mammaria a risonanza magnetica.
Lo studio è stato effettuato da Brown e colleghi che hanno studiato la prevalenza di rottura di impianti al gel di silicone non coesivo rivelata mediante Risonanza Magnetica su 344 donne e 687 impianti. I dati raccolti in questo studio prospettico non presentano delle difficoltà statistiche degli studi effettuati su pazienti espiantate ma si correlano molto bene con gli stessi dati. In questo studio è stata mostrata una prevalenza di rottura del 63% nel 77% delle donne e la vita media di un impianto è stata stimata in 10.8 anni. Lo stesso studio dimostra la migrazione del silicone oltre la capsula nel 21% dei casi e una maggior tendenza alla rottura per gli impianti collocati in posizione retromuscolare. Lo stesso Brown (2005) ha pubblicato uno studio su 150 pazienti consecutive sottoposte ad intervento di mastoplastica additiva con protesi anatomiche, a superficie testurizzata ed in silicone coesivo, non registrando, tra le complicanze, nessun caso di rottura protesica. Holmich , nel 2001, ha pubblicato uno studio RMN effettuato su 533 impianti posizionati in un periodo compreso tra il 1973 ed il 1997; i dati della RMN suggerivano il 26% d’incidenza di rottura certa degli impianti ( 22% rottura extracapsulare) ed un ulteriore 6% con sospetto di rottura; correlando l’età dell’impianto all’incidenza di rottura Holmich riportava che la maggior parte degli impianti che dimostravano i segni della rottura erano stati impiantati tra i 16 ed i 20 anni prima mentre, per gli impianti posizionati negli ultimi 5 anni, l’incidenza della rottura non era statisticamente significativa; le rotture extracapsulari erano tutte associate ad una storia di trauma in regione toracica od a capsulotomia a cielo chiuso.   Holmich, nel 2004, ha presentato un secondo studio relativo ad un gruppo di 271 pazienti che nel 1999 erano state  sottoposte ad un primo screening con RMN; le pazienti erano portatrici di protesi mammarie da un periodo medio di 12 anni (da 3 a 25 anni). Nel 2001 ha sottoposto tutte le pazienti ad una seconda RMN, escluse 44 pazienti che avevano subito l’espianto nel periodo compreso tra i due esami clinici. Sulla base di questi esami clinici Holmich ha identificato un gruppo di 64 pazienti che presentavano alla prima RMN segni di rottura capsulare verso un gruppo di 98 pazienti nelle quali le protesi erano integre in entrambi gli esami strumentali. Vennero comparate le immagini relative alle due RMN ,la progressione dei segni di rottura e dei sintomi riferiti dalle pazienti; tutte le pazienti furono sottoposte al dosaggio nel sangue delle immunoglobuline G ed M, del fattore reumatoide, degli anticorpi anticardiolipina e degli anticorpi antinucleo. La maggior parte delle pazienti che presentavano già segni di rottura alla prima RMN non ha mostrato variazioni significative di tali segni;solo in 10 pazienti (11 %) è stata dimostrata una progressione dei segni di rottura, in 7 pazienti la rottura da intracapsulare era divenuta extracapsulare, in 3 pazienti si era accentuata la rottura extracapsulare con fuoriuscita del silicone e solo in 1 caso è stata dimostrata una vera erniazione del silicone attraverso la capsula fibrosa con un siliconoma; durante il periodo di studio in nessuna delle pazienti è stato rilevato un incremento degli anticorpi antinucleo ed anticardiolipina,né del fattore reumatoide, né delle immunoglobuline, e, soprattutto, tutte le pazienti non riferivano un incremento della sintomatologia clinica. Questo studio di Holmich ridimensiona notevolmente l’allarmismo generalizzato nei casi nei quali venga sospettata una rottura protesica concludendo che queste pazienti, non-trattate, possono essere seguite clinicamente, dimostrandosi molto raramente la progressione del bleeding di silicone.         

La perdita di liquido fino allo sgonfiaggio dell'impianto è una prerogativa delle protesi riempite con soluzione fisiologica. Lo IOM ha indicato una frequenza del 5-10% a 10 anni in base alla revisione complessiva della letteratura.
•  Estrusione dell’impianto
E’ una complicanza rara, più frequentemente correlabile agli effetti della radioterapia locale sulle pazienti portatrici di impianti mammari quale effetto della devascolarizzazione tessutale, della flogosi e della necrosi locale (radiodermite). Quando una estrusione dell’impianto avviene a breve distanza dall’intervento è più frequentemente dovuta ad un infezione locale.

• Linfoadenopatia
In letteratura sono riportati casi di linfoadenopatia ascellare in donne con impianti mammari. Uno studio (Katzin, 2005) eseguito su linfonodi prelevati da donne con impianti mammari, sia integri che con segni di rottura, era presente una reazione granulomatosa e gel di silicone.


• Atrofia ghiandolare
La pressione della protesi sul parenchima mammario ne può provocare un progressivo assottigliamento con conseguente aumentata visibilità e palpabilità della protesi.
• Calcificazioni nei tessuti intorno all’impianto
Depositi di calcio possono formarsi nei tessuti che rivestono l’impianto; può associarsi dolore. I depositi di calcio possono essere evidenti alla mammografia e possono indirizzare ad una diagnosi errata di carcinoma. Sono più frequenti nelle pazienti che hanno presentato un ematoma nell’immediato post operatorio e la loro frequenza aumenta significativamente con l’età delle pazienti.
• Potenziali effetti del bleeding di silicone
Piccole quantità di silicone a basso peso molecolare cosi come particelle di platino non ossidato (utilizzato nei processi di produzione delle protesi) possono attraversare la membrana protesica, anche di impianti integri (Flassbeck 2003, Kjoller 2003). Non vi è evidenza di conseguenze cliniche associate a questo fenomeno, ma, studi su protesi impiantate da molti anni hanno suggerito che il bleeding di tali particelle possa essere determinante nel provocare la contrattura capsulare (Bondurant 2000) e la linfoadenopatia ascellare (Katzin 2005). Quattro studi clinici (Chandra 1987, Lappert 1995,Lewis 1995,Stein 1999) hanno stabilito che le particelle di platino rilevate al di fuori della capsula fibrosa erano tutte in uno stato di non ossidazione (maggiormente biocompatibile) e ritenute non significativamente dannose per l’organismo.   




Frequenza di chirurgia supplementare
Le complicazioni a lungo termine finora descritte si traducono nella necessità molto frequente di ricorrere ad ulteriori interventi chirurgici.
Uno studio retrospettivo pubblicato sul New England Journal of Medicine ha riportato un tasso di reintervento in pazienti sottoposte a ricostruzione e mastoplastica additiva con protesi saline e al gel di silicone del 24%.
Secondo questo studio 1 donna su 3 sottoposta a ricostruzione e 1 donna su 8 sottoposta a mastoplastica additiva andranno incontro a complicanze che renderanno necessario un intervento entro 5 anni dall'intervento iniziale. In uno studio pubblicato dalla Allergan nel 2006 l’indice ri reintervento entro i primi 4 anni è rispettivamente del 24% per le mastoplastiche primitive e del 35% per le mastoplastiche di revisione. I motivi che più frequentemente comportano un reintervento sono la contrattura capsulare, la malposizione degli impianti e la ptosi (sagging); sempre secondo questa meta-analisi , nelle mastoplastiche primitive il 9% degli impianti vengono rimossi entro i primi 4 anni, mentre la percentuale di espianto sale al 12% nelle mastoplastiche secondarie.  Henriksen (2005),Tebbetts (2006) ed Heden (2006) riportano una incidenza di reinterventi relativamente inferiore  con l’impiego di impianti di V° generazione, in silicone coesivo, asserendo che una corretta programmazione dell’intervento, della scelta degli impianti ed una rigorosa tecnica chirurgica riducono notevolmente l’incidenza di complicanze a breve e lungo termine e pertanto della frequenza della chirurgia supplementare.

Effetti locali a breve termine: complicanze immmediate

• Ematoma
E' una complicanza rara, verificandosi nell'1% dei casi. Di solito capita nelle prime 24h ed è segnalato da dolore improvviso e crescente. Se l'ematoma è significativo va evacuato per ridurre l'incidenza della contrattura capsulare. Quando un ematoma compare a distanza di tempo dall’intervento è più facilmente collegabile a recenti traumi toracici od ad improprie manovre sulle mammelle.

• Sieroma
Il posizionamento di drenaggi riduce la frequenza di questa complicanza.
Il sieroma come l'ematoma può aumentare il rischio di contrattura capsulare.
Un sieroma significativo può inoltre aumentare la possibilità di malposizione degli impianti anatomici.

• Infezione
L'infezione è una complicazione comune ad ogni intervento chirurgico. La maggior parte delle infezioni si presenta nei primi giorni dopo l’intervento chirurgico ma è possibile che una complicanza infettiva accada anche a lungo termine. I piercing del capezzolo sono la ragione più comune di infezioni a distanza
La presenza di una protesi rende l'infezione più difficile da controllare.
Di solito comporta la rimozione dell’impianto, una adeguata terapia antibiotica ed il reimpianto dopo un intervallo di almeno tre mesi (cleared up).


• Modificazioni della sensibilità del capezzolo
La sensibilità può risultare aumentata o diminuita dopo l'intervento. I disturbi della sensibilità del complesso areola-capezzolo sono più frequenti quando si sia scelta una via di accesso periareolare
L'anestesia è di solito temporanea ma può , molto raramente, essere permanente.

• Pneumotorace
Sebbene si tratti di una complicazione piuttosto rara diversi casi sono stati riportati in letteratura sia nel caso di posizionamento retroghiandolare che retromuscolare.



 Considerazioni generali

In generale occorre indicare che gli impianti mammari devono essere utilizzati in pazienti che abbiano compiuto almeno diciotto anni e sono controindicati:
* Nelle donne che presentano una infezione in atto in qualsivoglia distretto del loro organismo.
* Nelle donne che presentano una neoplasia mammaria od una precancerosi e che non siano state ancora adeguatamente trattate per questa condizione.
* Nelle donne in gravidanza o che non abbiamo terminato di allattare da almeno sei mesi.

L’impiego di una protesi mammaria deve essere attentamente valutato nelle pazienti che presentano:
* Una malattia autoimmunitaria (tipo lupus eritematoso o sclerodermia).
* Un indebolimento delle difese del sistema immunitario o che assumano farmaci che possano interferire ed indebolire le difese immunitarie.
* Condizioni che possano interferire con i processi di cicatrizzazione delle ferite o con la coagulazione del sangue.
* In tutte le condizioni nelle quali vi sia un ridotto apporto di sangue alle mammelle (esempio negli esiti di radioterapia).
* Nelle sindromi depressive, nelle malattie psichiatriche e nei disordini dell’alimentazione, tipo anoressia o bulimia.

Quando si sia programmato di eseguire una mastoplastica additiva occorre informare adeguatamente la paziente e considerare che:
* Le protesi mammarie sono dei dispositivi medici soggetti ad usura e pertanto sono dispositivi definiti “a tempo”. Le pazienti dovranno necessariamente essere sottoposte ad altri interventi per la sostituzione degli impianti protesici. Dopo il primo intervento potrebbero rendersi necessari altri interventi per la risoluzione di eventuali complicanze o per un risultato cosmetico insoddisfacente. Quando una paziente viene sottoposta ad una revisione chirurgica ( sostituzione impianti o trattamento di complicanze) il rischio di avere una complicanza è relativamente aumentato rispetto al primo intervento chirurgico di mastoplastica additiva.
* Molti dei cambiamenti delle mammelle che seguono un intervento di mastoplastica additiva devono considerarsi definitivi e pertanto se per qualsivoglia ragione si sia costretti a rimuovere le protesi, senza poterle sostituire, le mammelle potrebbero avere un aspetto cosmetico del tutto insoddisfacente per la comparsa di dimpling, puckering o wrinkling.
* Gli impianti mammari possono interferire con l’allattamento e può essere ridotta la capacità di eliminare il latte ( in particolare quando si sia scelta una via di accesso periareolare,trans-ghiandolare).
* Gli impianti mammari, per la pressione esercitata sui tegumenti di rivestimento, possono provocare un assottigliamento del parenchima mammario che rende più visibili e palpabili gli impianti stessi,riducendone l’effetto cosmetico.
* La rottura di una protesi mammaria in silicone è spesso silente e, qualora non intervengano altre complicanze, è statisticamente difficile che possa essere evidenziata dal solo esame clinico. Secondo uno studio di Holmich, pubblicato nel 2005, l’attendibilità dell’esame clinico è del 30% rispetto all’ 89% della Risonanza Magnetica. E’ pertanto consigliato far eseguire alle pazienti una RMN dopo tre anni dal primo intervento di mastoplastica additiva e successivamente ogni due anni, sia per studiare lo stato delle protesi mammarie che per valutare le eventuali modifiche ghiandolari (assottigliamento del parenchima mammario, patologia ghiandolare).
* Qualora la RMN restituisca un risultato di sospetta rottura protesica la protesi mammaria deve necessariamente essere rimossa.
* Lo screening per il cancro della mammella, con l’ RX mammografia, dopo un intervento di mastoplastica additiva, può essere difficoltoso e meno attendibile. L’opacità dell’impianto potrebbe interferire con la fine ricerca della neoplasia. Sono necessarie maggiori dosi di radioazioni e proiezioni particolari (proiezione obliqua), ed anche queste ultime hanno una attendibilità inferiore alla RMN. Inoltre, durante un esame mammografico, la ghiandola e la protesi mammaria subiscono uno “squeeze” che potrebbe causare una rottura dell’impianto stesso.
Uno studio effettuato dallo IOM ha riassunto 12 ricerche precedenti ed ha stabilito che l'interferenza con la mammografia esiste ed è maggiore quando la protesi viene collocata in sede sottoghiandolare. E’ provocata dalla distorsione della ghiandola e dall'interposizione di una massa opaca che oscura parte della ghiandola. Può essere più difficoltoso il riconoscimento di depositi di calcio nel tessuto cicatriziale peritumorale. La mammografia deve pertanto essere effettuata da un radiologo informato del problema e  con delle proiezioni particolari (Eklund view). Attualmente la RMN è considerata l’indagine strumentale di prima scelta nello studio delle pazienti portatrici di protesi mammarie, utile a meglio studiare sia la ghiandola mammaria che lo stato delle protesi.

 
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